Giusto per non dimenticare cosa significano le parole “guerra”, “bombardamento”, “artiglieria”, “fuggire” ecc., quello che sta avvenendo proprio adesso in altri paesi di cui ben conosciamo il nome (mentre noi si fa l’albero di natale) e con armi ben più distruttive che nei ’40:
“Le comunità del Lazio meridionale, strette tra due fuochi contrapposti, furono stravolte dai bombardamenti dei liberatori alleati e dalle rappresaglie degli occupanti tedeschi; stremate dalla fame, dalle malattie, dall’esperienza dello sfollamento, esse persero ogni punto di riferimento, fisico e mentale.”
Nell’immagine, Santa Maria Infante, 15 maggio 1944.
Tiriamo fuori la memoria ora che abbiamo i mezzi per farlo, non bastano i monumenti e le villette comunali con i cannoni dove si arrampicano i bambini per giocare e si fa una celebrazione l’anno, dobbiamo ricordare e imporre di ricordare, è un nostro dovere, è quello che tacitamente ci chiedono le vittime di un orrore già vissuto, che non avrebbero mai voluto veder rivivere da nessun’altra parte sul pianeta.
È il momento di cambiare.
Raccontiamo ai bambini quello che i nostri predecessori gridano dalle lapidi, facciamogli capire che la guerra non è quella dei videogiochi, è tutta un’altra storia.
Facciamogli sentire bene che quel passato non è virtuale ma è avvenuto per davvero, portiamoli nei posti così che ne sentano l’odore, raccontiamogli storie VERE.
RICORDIAMO.
A loro piacerà, assimileranno e si emozioneranno anche più di noi, sono bambini.
Tramandiamo, loro ricorderanno e intanto, “combattiamo”.