Cosc(i)enza

Il lungo epilogo iniziò quando due bipedi semi-vegani dotati di coscienza, blateranti lungo un prato circa l’orrore dell’ingrediente cagnolino in ricette cinesi, furono d’un tratto circondati da un pulcino un maiale e un vitello i quali tenendo bastoncini da riporto in bocca e nel becco li fissavano scodinzolanti. I due amici ipnotizzati dalla scena non si stupirono più di tanto quando si palesò un leone profugo di passaggio che, con un fischio al contrario, aspirò il pulcino e ne ruttò in aria una nevicata di piume. Mentre il direttore della giungla digeriva il pulcino sbucciando il vitello e sbocconcellando il maiale vivi, i nostri due impietriti cercavano sudando di telepatizzarsi cosa fare, finchè leo non decise con un balzo di assaggiarne uno. L’altro fuggì urlando e piangendo ma erano lacrime da coccodrillo vegano perché aveva forti dubbi che l’amico lo tradisse da mesi con sua moglie mangiando porchetta. Dopo il lutto per l’amico il sopravvissuto si vantò ripetutamente su feisbuk dell’incredibile avventura che diventò virale e viralmente tutti cominciarono a nutrirsi solo di nomi piante fiori e frutta finché un giorno, a seguito di un errore T9 nel settore comunicazioni della Monsanto, si diffuse sui social il sospetto che il mondo vegetale non vegetasse ma provasse il dolore, e qualcuno ipotizzò anche sentimenti. Da lì, si ramificò la moda di carezzare la flora e la fauna cibandosi esclusivamente dei loro frutti finché, per via della bufala N1H2.0, si insinuò la credenza che i micro organismi fossero dotati anch’essi d’anima, e già c’era chi non riusciva più a dormire bene, per l’ansia di soffocare acari schiattandoli sul materasso o essere convinti di sentire voci esagitate di una class action nella flora intestinale organizzata per provocargli un cancro.
Ormai c’era chi fuggiva terrorizzato da un torsolo di mela scovato dietro al frigo o un fossile di pollo ritrovato alla fine dell’ultima era glaciale nel frizer.
Dopo aver smesso di mangiare plastica pensando di fare al contempo un servizio al pianeta ma accorgendosi presto d’essere intolleranti al polilattosio, alcuni cominciarono a darsi colpe e divorarsi l’un l’altro finché stremati non si lasciarono decomporre sorridenti, mentre corvi, cicale, batteri e pantecane se ne banchettavano allegramente.
Nel frattempo al C.O.C., l’ufficio del Creatore di Ogni Cosa, la segretaria chiedeva:
– Come si chiama quell’errore che abbiamo estinto?
– Umani.
– Virus utilizzati?
– Social e Coscenza, con la i, come Social.

Il Grande Maestro

Il grande maestro era alto, bianco con gli occhiali e ci voleva bene a tutti, anche ai più cattivi. Quando era arrabbiato faceva finta e si vedeva bene.
Anche con il bambino che non capiva, quella volta che tutto contento gli aveva portato il quaderno che aveva riempito di strani segni tutti uguali, invece di fare tutte S, sopra i righi.
Gli aveva sorriso, fatto una carezza e detto — Bravo! —, poi l’aveva accompagnato al banco e si era messo accanto a lui, a tenergli un po’ la mano con la penna e a parlargli piano, che noi non sentivamo.
Quando era quasi Natale, il grande maestro ci disse di portare forbicine e cartoncino per il giorno dopo.
Quel giorno di scuola prima delle vacanze, ci fece disegnare delle spirali sui cartoncini bianchi e ce le fece ritagliare, intanto lui aveva sistemato dei bastoncini sopra i termosifoni, sotto le finestre.
Poi prese le nostre spirali, le allungò e le appoggiò sopra i bastoncini, che sembravano tutti alberelli di Natale, solo che dopo un po’ avevano iniziato tutti piano piano a girare.
Perché, ci spiegò, l’aria calda va sempre verso l’alto.
L’aria calda, man mano che ci scalda, non ha finito il suo lavoro, sale su in cielo a scaldare le anime perché lassù deve fare proprio freddo, è lì che si crea la neve.

Il migliore maestro della mia vita, quando avevo sette anni,
il maestro Zefferino.

Mi è capitato di avere a che fare con una dipendente pubblica parecchio sgarbata. Mi sono messo un attimo in discussione pensando: sarò io? I miei modi? La mia faccia? Mi sono assolto, visto che il prossimo aveva lo stesso trattamento.
Mancanza di rispetto del “prossimo”.

I bambini e in generale le persone più giovani di noi vanno anzitutto rispettate per via di un semplice assioma: hanno il diritto inviolabile di sperimentare la vita sulla propria pelle nel bene o nel male almeno quanto non lo abbiamo già fatto noi.
Per conseguenza solo le persone più anziane di noi che applicano prima di tutto questo principio meritano rispetto.

Onore a chi cerca di usare meno la macchina, si muove a piedi in bici e con i mezzi pubblici, a chi non pretende accessori di lusso, a chi non spreca il cibo e l’energia, a chi pensa che il futuro dei bambini pesa nelle nostre mani, a chi non sputa nel piatto dove continua a mangiare addossando ogni colpa solo ai governanti.
Siamo parte di un sistema che facciamo funzionare, guardiamoci allo specchio, almeno prima di parlare.

Quando facevo le elementari qui a Spigno, negli anni ’70, non solo avevamo il crocefisso in classe ma c’era anche Don Pio Macari, il prete locale, che veniva a farci cantare.
Si faceva anche il presepe che era un bel momento, nient’altro che costruire insieme un paesaggio in miniatura, che poi diventava bersaglio delle mini cerbottane fatte con la BIC svuotata del pennino e pallini di carta masticata e pressata. Quando un pastorello veniva colpito, la maestra, ignara che fosse la nostra artiglieria si alzava per andare a risistemarlo sul muschio. Don Pio era allegro e ci faceva ridere. Ai bambini non frega assolutamente nulla dei simboli e delle religioni, i bambini vogliono la pace e la serenità, vogliono aria di festa e giocare. Quello che bisogna togliere dalla scuola, così come dalla politica e dalla sanitá, sono le persone che non fanno quel lavoro prima di tutto per la passione e il rispetto del prossimo. Lasciate in pace i bambini e sí, pure i crocefissi, non sono loro il problema, lo siete voi.