Nell’emisfero boreale la Pasqua coincide con l’equinozio di primavera già da molto prima dell’apparizione dell’umanità sulla terra. Il sole declina positivamente, il giorno ruba tempo alla notte, l’inverno viene salutato con gioia tra il tepore e i profumi della natura che si risveglia, si rinnova, quindi risorge.
Rispetto ai nostri antenati, del neolitico ad esempio, noi probabilmente siamo molto meno sensibili a questo meraviglioso e indispensabile dono di madre natura che in passato significava invece prosperità e assicurazione di vita futura: il ghiaccio si scioglie, l’erba cresce e così gli animali, riparte il ciclo.
Oggi possiamo avvertirlo con la fine delle spese per il riscaldamento, con il cambio di abiti o la sublime sensazione di mettere la prima maglietta a maniche corte che fa strada a quella indimenticabile dei primi piedi nudi sulla sabbia calda, il primo gelato…
Credo che il sentimento di gioia e gratitudine venga da molto, molto lontano.
Pensando a Jung, è probabile che risieda nel nostro inconscio collettivo, associato a diversi simboli nelle diverse origini geografiche.
Un dono per il quale dovremmo essere grati a qualcosa o qualcuno e allora credere a dei trascendenti o immanenti madre e/o padre ai quali essere grati per la nostra esistenza e per la casa meravigliosa che hanno creato per noi.
Visto quello che è successo in passato e che si continua veder accadere in nome dei diversi credo mi tocca dire che mi sento abbastanza confuso.
Però credo che voler bene ed essere solidali con gli altri figli di questi ipotetici genitori e rispettare e preservare per i loro figli a venire la casa ed ogni bene che contiene sia la giusta via.
Quale genitore non sarebbe felice di vedere i propri figli andare d’accordo e aiutarsi nel tenere a posto la casa, piuttosto che esigere uno sterile ed egoistico individuale “grazie”?
Quando faccio gli auguri a qualcuno non penso ma credo che inconsciamente sia qualcosa del tipo: “Che tu possa provare per sempre la mia stessa sublime sensazione della prima maglietta a maniche corte di quest’anno.”.
E visto che questa pasqua pare sarà piovosa, restiamo con le maniche lunghe a sacrificare il cioccolato dandogli l’addio perché sarà reso immangiabile dalla declinazione positiva del sole fino al prossimo equinozio.
Tanti auguri di Buona Pasqua.

Mio figlio fa parte di quella categoria di esseri umani che molto probabilmente, a meno che non vi siano nuove e spettacolari scoperte nel campo della ricerca, un domani non sarà in grado di dire: “mi ricordo quel giorno…”.
Oggi eravamo in un piccolo parco, faceva molto caldo, era di primo pomeriggio. Siamo andati ad una fontana per bere.
Dopo aver bevuto ho provato ad insegnargli come si schizza, tenendo il palmo della mano premuto sotto il rubinetto e a direzionarlo. Lui d’un tratto mi ha chiesto: “Vuoi schizzare?”.
Un attimo dopo era a piedi nudi e senza maglietta, io facevo “la pioggia” e lui ci correva sotto, divertendosi come un pazzo.
Si è bagnato da cima a fondo ed era felice.
Forse noi adulti, genitori e non, ogni tanto dovremmo pensare che anche noi abbiamo dei “mi ricordo” importanti.
Non dico, per citare Vasco, che dobbiamo vivere ogni momento come se fosse l’ultimo, ma pensare a lasciare qualche “mi ricordo quel giorno” ai bambini è una cosa bella, che fa bene anche a noi.
Ci vuole un po’ di “follia”, di stravaganza, di uscire per un attimo fuori dalle regole.
Ma quando saremo anziani, ci ritornerà con gli interessi, perché saremo quelli che sono riusciti a mettere una bella foto nell’album “mi ricordo” dei nostri ragazzi ormai adulti.
E’ difficile non cascare nella monotonia, ma credo che sia uno sforzo che vale la pena fare, se non per noi adulti, farlo almeno per i bambini.

L’aria calda che sposa fritto e fogna abbandona il golfo che rimane bello nonostante tutto, sarà sostituita dai profumi del mosto e della prima pagina di un quaderno nuovo. Rivedremo le nostre facce perdere il bronzo assieme alle foglie nell’illusione che tutto ricominci, che tutto sia nuovo. Settembre è il vero capodanno, forse. Champagne. Anzi, vino novello e Italiano.

Umuntu ngumuntu ngabantu,
“io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo”.
Ubuntu è un’etica, un’ideologia dell’Africa sub-Sahariana che si focalizza sulla lealtà e sulle relazioni reciproche delle persone.
È un’espressione in lingua bantu che indica “benevolenza verso il prossimo”.

« Una persona che viaggia attraverso il nostro paese e si ferma in un villaggio non ha bisogno di chiedere cibo o acqua: subito la gente le offre del cibo, la intrattiene. Ecco, questo è un aspetto di Ubuntu, ma ce ne sono altri. Ubuntu non significa non pensare a se stessi; significa piuttosto porsi la domanda: voglio aiutare la comunità che mi sta intorno a migliorare?»
(Nelson Mandela)

Non c’è bisogno di aspettarsi da Dio una ricompensa per questo, basta pensare al bene di chi continuerà a lasciare orme camminando su questa terra dopo che ce ne saremo andati, ammesso che ce ne fotta qualcosa.
Umuntu ngumuntu ngabantu.

wiki/Ubuntu_(filosofia)

wiki/Desmond_Tutu

Giusto per non dimenticare cosa significano le parole “guerra”, “bombardamento”, “artiglieria”, “fuggire” ecc., quello che sta avvenendo proprio adesso in altri paesi di cui ben conosciamo il nome (mentre noi si fa l’albero di natale) e con armi ben più distruttive che nei ’40:
“Le comunità del Lazio meridionale, strette tra due fuochi contrapposti, furono stravolte dai bombardamenti dei liberatori alleati e dalle rappresaglie degli occupanti tedeschi; stremate dalla fame, dalle malattie, dall’esperienza dello sfollamento, esse persero ogni punto di riferimento, fisico e mentale.”

batta43

Nell’immagine, Santa Maria Infante, 15 maggio 1944.

Tiriamo fuori la memoria ora che abbiamo i mezzi per farlo, non bastano i monumenti e le villette comunali con i cannoni dove si arrampicano i bambini per giocare e si fa una celebrazione l’anno, dobbiamo ricordare e imporre di ricordare, è un nostro dovere, è quello che tacitamente ci chiedono le vittime di un orrore già vissuto, che non avrebbero mai voluto veder rivivere da nessun’altra parte sul pianeta.
È il momento di cambiare.
Raccontiamo ai bambini quello che i nostri predecessori gridano dalle lapidi, facciamogli capire che la guerra non è quella dei videogiochi, è tutta un’altra storia.
Facciamogli sentire bene che quel passato non è virtuale ma è avvenuto per davvero, portiamoli nei posti così che ne sentano l’odore, raccontiamogli storie VERE.
RICORDIAMO.
A loro piacerà, assimileranno e si emozioneranno anche più di noi, sono bambini.
Tramandiamo, loro ricorderanno e intanto, “combattiamo”.