Pelle

Questo racconto è del 2011, Noemi è una modella “locale”alla disinibita ricerca di un ricco “pollo” da spennare.

Sono quasi le due del pomeriggio. Silvano e Noemi sono in spiaggia stesi sugli asciugamani. Silvano dorme a pancia sotto. Dalle undici, ora in cui sono arrivati, lui non ha fatto altro che stare al cellulare finché lei l’ha costretto a spegnerlo, hanno fatto un brevissimo bagno e uno spuntino, poi lui è crollato in un sonno pesante appena raggiunta l’orizzontalità. Noemi fissa quel piccolo spot più scuro che va lentamente espandendosi sull’asciugamano sotto la bocca socchiusa di Silvano che adesso comincia a russare, gocciolando un esile filo di saliva di tanto in tanto… ha quasi quarant’anni. Lei ventiquattro.

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Dopo il diploma di maturità strappato con il minimo dei voti e degli sforzi all’istituto magistrale non ha fatto più nulla, salvo passare da un bipede porta-portafoglio all’altro come fa un ape intorno a un pesco in fiore e partecipare a sfilate e concorsi di Miss «qualsiasi cosa»: regioni, città, paesini, auto e moto, maglietta bagnata, pizza e via così. Un giorno, mentre sfilava sulla passerella del concorso di Miss Cassata in una nota località siciliana, aveva notato Silvano. Sì, era un po’ troppo piazzato forse, con pochi capelli, vero, ma com’era elegante quel completo sabbia abbinato al colore rossiccio delle basette ed alla montatura degli occhiali. Come era abile e sicuro nel maneggiare il cellulare. Lui, da gran pavone in fase corteggiatrice, le stava dedicando quella specie di danza mentre parlava animatamente al telefono addirittura molleggiando su un piede solo. Lo sguardo vispo e roteante, concentrato in chissà quali importanti trattative, riusciva addirittura a lanciarlo ammiccante verso lei, luminosa in mezzo a tutte quelle cassate. Le disse di essere imprenditore nel settore dolciario. In realtà lui di dolci, salvo sapere esattamente come ingollarli senza sporcarsi le dita, non ne sapeva più di lei e col tempo si rivelò un mediocre faccendiere in barba, scalciato ansiosamente in politica dall’azienda dolciaria di famiglia. Le aveva subito promesso di farla entrare in televisione ma fino ad ora ce l’aveva solo messa davanti, a guardarla, e nemmeno insieme perché si alzava ogni cinque minuti aspirato dal telefonino. Anche ora, mentre lo osserva dormire, le sembra fotocopiato sull’asciugamano nella stessa identica posa: il braccio sinistro disteso e il destro piegato all’insù, con la mano accanto all’orecchio solo vuota del cellulare. Stufa del ronfare e annoiata da quella specie di clessidra liquida tra la bocca di Silvano e l’asciugamano, gli si sposta accanto alla schiena e comincia delicatamente ad estrargli i punti neri scovandoli sul dorso peloso, concentrata al massimo per non svegliarlo. È una cosa in cui Noemi si sente abile. Ogni volta la prima cosa che fa quando lui si sveglia è di comunicargli orgogliosa che gli ha estratto tutti i punti neri mentre lui nemmeno se n’è accorto. «Hai le mani d’oro», risponde dedicandole un flash entusiasta che sfuma mezzo secondo dopo, mentre riaccende il telefonino e se lo impianta di nuovo all’orecchio. In realtà non si è mai posto il problema di averceli o no quei punti, però lei è felice con quel contentino. Ha promesso di aprirle un centro estetico con palestra, sauna, idromassaggio e depilazione nucleare, che lei non sa cos’è, però pensa che dal nome dev’essere qualcosa “ultimo grido di generazione”. China sulla schiena di Silvano, continua impegnata le sue delicate operazioni chirurgiche alternando le unghie degli indici a quelle dei pollici mentre un pacioso e canuto signore anziano, magro e semi-pelato con dei gran baffoni bianchi sdraiato prono a qualche metro da loro, sta osservando rapito la scena rievocante un documentario sulla vita dell’ippopotamo e del suo utile e fedele compagno: l’uccellino parassitario. Quando ricorda l’immagine dell’enorme pachiderma con la bocca spalancata che placido e sonnacchioso si lascia nettare i denti dal minuscolo volatile piluccante, sbuffa spettinandosi i baffoni in un riso trattenuto. Noemi alza lo sguardo e lo tana con un cipiglio. Quello arrossisce e si gira dall’altra parte ancora singhiozzante. «Cafone.», pensa lei. Ritorna al suo delicato lavoro rimuginando seccata al perché siano dovuti venire proprio in quel piccolo centro balneare le uniche due settimane di vacanze estive. Odia quel posto, è poco conosciuto e pieno di extracomunitari. Silvano le aveva detto che proprio lì, invece, avrebbe potuto avvicinare delle persone importanti, dei VIPS. Gli serviva essere assolutamente lì per il suo lavoro. «Vedrai, vedrai, vedrai!», le aveva detto. Noemi, finito ormai di piluccarlo, si mette supina poggiandosi sui gomiti, lo sguardo pensieroso verso il mare. D’un tratto nota all’orizzonte, oltre le boe di salvataggio, due braccia che si sollevano come per chiedere aiuto. «C’è qualcuno che affoga laggiù?», si domanda alzandosi in piedi di scatto e correndo verso il bagnasciuga. Vede di nuovo quelle braccia alzarsi verso l’alto. In preda all’agitazione corre verso il lettino del bagnino impegnato in una partita a scopa con l’aiutante e gli grida che qualcuno, al largo, sta per annegare. Scatta in piedi e guardando in quella direzione ordina al collega di andare a tirare il pattino in acqua, poi prende il binocolo mentre lei gli strilla di sbrigarsi richiamando l’attenzione della gente. Per il clamore, si è formata una piccola folla sul bagnasciuga e tutti guardano in direzione di quelle braccia che si sollevano. Un attimo dopo il bagnino abbassa il binocolo e guardando Noemi negli occhi e in periferia con un espressione fra il canzonatorio ed il sensuale, avverte ad alta voce l’aiutante e la folla sul bagnasciuga che si tratta di qualcuno che nuotando sul dorso sta venendo verso riva. Dei «Lo sapevo…» seguiti da risatine e commenti vari si espandono qua e là, dispersi dalla brezza pomeridiana. Lei, di tutti i colori, prima di tornare all’asciugamano lancia un occhiata di disprezzo al bagnino ammiccante, sentendosi osservata e derisa da tutta la spiaggia: «Cafoni!». Silvano intanto continua a russare come se niente fosse accaduto, l’alone di saliva si è allargato fino ad impregnare anche l’asciugamano di Noemi. Si mette seduta continuando a guardare quelle braccia che alzandosi quasi sempre con la stessa cadenza hanno appena superato le boe e si avvicinano alla riva. Sentendosi ancora troppo osservata, decide di andare a fare un bagno dando un ultima occhiata stizzita al pacioso signore con i baffi che invece la guarda benevolo. «Cafoni, cafoni, cafoni!», pensa mentre entra in acqua. Le due braccia natanti sono vicine. Lei avanza in acqua e si immerge fino al collo, poi si gira verso la spiaggia per aspettare e spiare inosservata l’origine della sua figuraccia. Ormai sente il rumore delle bracciate al suo lato. Il colpevole emerge. Noemi finalmente lo vede, di profilo. Alto, un Davide bronzeo, con i capelli brizzolati, il viso armonioso ma anche duro. Non riesce a staccargli gli occhi di dosso. Davide, si chiama proprio così, si sciacqua il viso e si passa le mani sui capelli, si scrolla agitando i muscoli asciutti, poi percepisce la presenza di qualcuno al suo lato e si volta. Si trovano faccia a faccia. Lei continua a fissarlo, ipnotizzata dal suo corpo statuario, dal viso disteso profondamente solcato e disegnato dal vissuto, un contrastato chiaro-scuro di esperienze e segni di espressione illuminato da quegli occhi verdi e intensi. Lui, invece, rimane un attimo indifferente, si volta e continua a camminare tranquillo verso riva. Lei riemerge dallo stato di trans e poi, incredula e risentita di non aver mietuto un altra vittima con il suo fascino di Miss Qualsiasi Cosa, gli tiene gli occhi addosso aspettando l’emersione dei glutei e scommettendo vendicativa di riuscire a trovare sicuramente un difetto in quel Davide di Riace, almeno nella sua metà ancora sommersa. «Avrà il sedere basso e appeso… le gambe corte o storte, le ginocchia sporgenti, i piedi troppo piccoli, troppo grandi o piatti?». Appaiono i glutei. Alti e muscolosi sotto lo slip nero attillato. «Fuori uno. Sono perfetti…», rimugina con un brivido che le sale sulla schiena senza accorgersi che il labbro inferiore le è calato dandole l’espressione di una bimba che mangia con gli occhi una bellissima torta dietro una vetrina, la bocca semi-aperta ad appannare il vetro e gli occhi semi-chiusi. La “torta”, che ora è a pochi metri, si volta all’improvviso prendendola alla sprovvista e immortalandola in quella smorfia libidinosa . Lei si ricompone e fa subito finta di guardare oltre. Lui la guarda studiandole serio il viso per qualche secondo, con il fare di chi ha l’impressione di riconoscere qualcuno. Poi, come rassegnato, accenna un sorriso si volta e continua a camminare verso riva. Noemi lo ricambia troppo tardi, rossa ed impacciata lo vede già di spalle. Interpreta quell’atteggiamento a modo suo: «l’ho steso!», realizza ringalluzzita. Continuando a seguire con lo sguardo Davide che ormai è sulla spiaggia e cammina elegante e senza un difetto verso il lido, si rende inconsciamente conto della potente reazione del suo corpo a quell’incontro, sente freddo ed ha la pelle d’oca. Esce e torna all’asciugamano dove trova Silvano nella solita posizione: sembra caduto da un terzo piano continuando a parlare al cellulare fino all’attimo prima dell’impatto. Pensando ancora a quella bronzea opera d’arte in marmo umano che ignara che lei abbia cercato di salvarle la vita inutilmente per di più l’ha praticamente snobbata, si accende con le mani tremolanti una sigaretta, tira avidamente una boccata e si stende supina al sole. Il modo in cui l’ha guardata, ripensandoci, le sembra strano. Le ricorda quello di suo padre, un giorno, aveva otto anni: si era persa proprio in spiaggia e dopo ore che vagava piagnucolando tra la gente passando da un lido all’altro le era apparso d’improvviso suo papà che, non avendola ancora vista, la cercava ansioso tra gli ombrelloni. Stava quasi per chiamarlo quando lui finalmente la vide. Conserva il ricordo di quello sguardo durato tre secondi forse, non di più. Era denso di cose. Vide in quegli occhi stupore, sollievo, felicità, gratitudine e paura passare velocissimi per essere cancellati infine, scaduti i tre secondi, dalla rabbia. Purtroppo si ricorda molto bene anche quell’ultima perché era quello lo sguardo che vedeva più spesso negli occhi di suo padre e quel giorno le aveva prese di santa ragione. Lui lavora sulle navi e non l’ha visto e non lo vede quasi mai. Quando ha bisogno di aggrapparsi a suo padre va alla ricerca di quei tre secondi e di poche altre manciate più o meno simili. Aspira di nuovo una boccata e pensa: «Se sommo tutti questi secondi ce l’avrò almeno un minuto di buoni momenti con papà?». A volte ha la sensazione di inventarseli ma sui tre secondi di quel giorno al mare potrebbe metterci la mano sul fuoco. Quell’uomo venuto dal mare, prima, l’ha guardata in quel modo e i secondi non li ha cancellati con la rabbia ma con un sorriso. Le batte il cuore ma è convinta che sia la sigaretta. Spegne la cicca nella sabbia rassicurandosi: «Ho avuto la pelle d’oca perché quello mi ha messo in imbarazzo, io sto per sposarmi. È carino sì ma ne ho visti tanti così e guarda alla fine chi ho scelto: uno sveglio, che ci sa fare con la gente e un giorno avrà successo e potere. Quello magari se gli sorridevo mi attaccava bottone. Che stupido, come si fa a perdere la testa in così poco tempo? L’ho proprio steso…». Un suono stridulo, fine corsa piroettante di un palloncino sgonfiato, la scuote bruscamente dai suoi pensieri. Silvano si risveglia dalla pennichella con un tragico peto straziato, suscitando un nuovo ilare sbuffo del signor baffoni bianchi ancora prono lì vicino e la reazione indignata di Noemi: «Silvano!!!», che poi fulmina il baffoni costringendolo di nuovo a voltarsi singhiozzante dall’altro lato. Silvano riemerge alzando la faccia rossa grigliata dalle pieghe dell’asciugamano e ignaro del palloncino: «Eh? Che…che c’è? Amore… Che…. eh?». Lei prende fiato per rispondergli ma se ne pente acremente con una smorfia disgustata: «La devi smettere con le cozze! Lo sai che ti fanno male, no?! Vado al lido a prenderti un’acqua tonica!». Sibila asfissiata con un fil di voce. Mentre si alza nota baffoni bianchi, ormai con gli occhi lucidi, che continua a osservarli pacioso, come grato di quei memorabili momenti. Stavolta lei sbotta: «Cafone!». Silvano: «Ma… Noemi…». Stizzita: «Non ce l’ho con te amore, non ti preoccupare! Torno subito!». Entra nel lido. Al bancone c’è una ragazza bassina, magra e occhialuta con una bandana giamaicana, più o meno della sua età che appena la vede sgrana gli occhi dietro i fondi di bottiglia e le fa: «Ma… io ti conosco! Tu sei Miss Salsiccia e Limone 2009!!! È vero o non è vero?». I presenti nel lido si voltano, qualcuno ridacchia. Noemi che vorrebbe scomparire le risponde a voce bassa: «Ehm… No!. Si… Sono io…». «Come sei bella! Che onore!!! E cosa ti posso offrire? Dai, non fare i complimenti! Offre la casa!». Noemi pavoneggia sostenuta poggiandosi al bancone: «Due acque toniche. Grazie!». Mentre la barista continua a parlare, si mette a guardare le foto attaccate sul muro. Ne nota subito una con il bel falso annegante insieme alla barista e ad un altro ragazzo. Incuriosita chiede: «Scusami, posso chiederti chi è quel ragazzo in quella foto? Mi sembra di conoscerlo.» «Quale foto? Questa? Ci siamo io, mio fratello Filippo e Davide, l’istruttore di vela e windsurf.» le risponde la barista puntando il dito. Noemi: «Ah, Davide… Ed è di queste parti?». «No, lui si sposta. Vive su una barca nel porticciolo. Viene ogni anno, solo due mesi, poi se ne va. Sardegna, Spagna, Africa, Grecia … viaggia. Era uno famoso con le barche a vela. Le costruiva lui e faceva anche le gare. È ricco sai?», Noemi avverte un brivido, « Poi un giorno si è stancato e si è messo a girare di porto in porto. Fa qualcosa qui, qualcosa lì. Perché lo conosci? È bellissimo… eh?», le fa sorniona. Noemi contenuta: «Si…no… somiglia a qualcuno che…. mi sembrava di conoscerlo… ma quanti anni ha?». «Eh…. Se te lo dico non ci credi! Indovina!». Noemi: «Trentaquattro? Trentasei?». La barista ride: «Lo sapevo! Nessuno ci azzecca mai! Ne ha quarantasette!!! Non glieli davi mai eh? È troppo bello! Daviduzzo mio!». Noemi prende le acque toniche, ringrazia e torna in spiaggia. A pochi metri da Silvano, lo vede seduto già con il cellulare all’orecchio, questo non la meraviglia, quello che la fa trasalire è che mentre sta al telefono lo copre ogni tanto con la mano per rivolgere qualche parola smanceroso all’odiato signor baffoni il quale ricambia affettuoso. Con lei non parla mai quando è al telefono, al massimo solo per chiederle qualche servizio. Gli si siede accanto poggiandogli l’acqua tonica vicino e gli sussurra nell’orecchio libero: «Ma come fai a parlare con quello lì! È un cafone! Non fa altro che spiarci da quando siamo arrivati!». Silvano tappa il telefono e le fa sottovoce: «Grazie per la tonica tesoro! Il baffone? Potenziali voti tesoro, voti, voti, voti, i suoi e quelli di tutta la sua famiglia!». Poi si gira, strizza un occhio al baffone e prosegue la conversazione: «Tano? Scusami! È la mia Noemi. Si! Siamo al mare! Vedessi che sballo qua! Ti ci porto con me l’anno prossimo! Ci vieni? Me lo prometti? Tanuzzo!!! Allora, sentimi bene….». Noemi si alza scocciata e va verso il bagnasciuga con la sua bibita. Si incammina sorseggiando e scorge non troppo lontano delle vele da windsurf volteggiare sul mare. Decide di andare a dare un occhiata. Nella testa le risuona l’eco di quel: «È ricco sai?», dettole dalla barista a proposito di Davide. Ad un tratto lo vede. Sta facendo lezioni ad una ragazza sulla spiaggia, lei è in piedi sulla tavola, tengono insieme la vela mentre lui le da spiegazioni. Noemi gli passa accanto lentamente fingendo di essere interessata a quello che fanno. Davide non si accorge neanche della sua presenza e continua placido a dare la sua lezione. Lei avanza qualche decina di metri oltre e torna indietro. Stavolta passa così vicina quasi da poterli toccare, tanto che l’allieva la nota, ma Davide, concentrato, non facendo caso a Noemi nemmeno in quel frangente invita tranquillo la ragazza a non distrarsi. Noemi, infastidita, si avvia decisa verso il club di windsurf notando l’insegna sotto il lido lì accanto. Fuori c’è un ragazzino seduto intento a trafficare con il cellulare. Gli chiede quanto costa una lezione individuale. Quello, dopo una breve pausa sul generoso davanzale di Noemi, la guarda in viso un po’ intontito e le risponde balbettante cinquanta euro l’ora e mezza. Lei, sprezzante, gli dice, indicandoglielo, che vuole Davide come istruttore. Il ragazzino le risponde che Davide è già al completo ma lei insiste, o lui o niente. Gli dice che è disposta anche a pagare di più. Allora il ragazzino le chiede di aspettare un attimo e va verso Davide. Parlano un po’, Davide scuote la testa, il ragazzino insiste allora Davide guarda verso Noemi che, per un attimo, ha l’impressione che il suo sguardo sia lo stesso di quando si sono incontrati in mare poco prima. Il ragazzino torna dicendo che va bene ma per ottanta euro, potrà cominciare l’indomani alle cinque. Noemi va via soddisfatta, lasciando soddisfatto anche il ragazzino che si frega le mani per l’affare concluso mentre le ammira il di dietro ondeggiante. Noemi se l’aspetta, si gira di scatto e lo tana. «Cafone! Cambia canale!». Quello, umiliato, rientra nel suo ufficio. Tornando da Silvano rimugina che quella potrebbe essere la sua occasione. Le dispiace per lui ma tanto gli passerà, magari per indorare la pillola gli regalerà un bel Ka-Phone originale da 1200 euro appena l’avrà lasciato, ovviamente con i soldi della sua nuova conquista. Tanto è convinta ed ha la prova quotidiana che lui ama più stare al telefono che in sua compagnia e poi è stufa di quei «vedrai», perché aspettare quando può avere tutto subito? Già si immagina stesa a prendere il sole sulla barca a vela di fronte alle bellissime coste di Madrid mentre Davide, suo bellissimo e muscoloso schiavo, le porta una coppa di Sciampagn e poi si inginocchia per spalmarle l’olio sulle gambe, guardandola bramoso del suo splendido corpo che lei gli concederà, sì…, ma solo di tanto in tanto, come premio se sarà stato proprio bravo. È sicura che sia già cotto di lei e che poco prima, quando gli è passata vicino, ha di proposito fatto finta di non vederla. Sicuramente l’ha vista arrivare da lontano e sta giocando per avercela vinta e vederla cascare ai suoi piedi. È la seconda volta che la guarda e tutte e due le volte non è riuscito a nascondere quei tre fatidici secondi. Caro Davide, con me non la spunti, sono di ghiaccio io, cosa credi. Rapita da quei pensieri camminando sul bagnasciuga lo sguardo verso il mare inciampa in un castello di sabbia spianandolo e percorrendo qualche metro a quattro zampe per cercare di non cadere pancia a terra. Si rialza e si gira furibonda per vedere chi o cosa abbia rotto il suo incantesimo. Vicino al castello distrutto vede un bimbo biondino, capelli a caschetto sopra grandi occhioni blu, avrà tre o quattro anni e sebbene gli sia stata demolita la piccola opera, sembra divertito dall’acrobazia appena compiuta da Noemi e la guarda con un riso senza denti e la paletta sollevata in mano, come in segno di resa. Ma lei non ricambia il buon umore del piccolo, gli si avvicina tanto da sovrastarlo e lo apostrofa severa e minacciosa con le mani poggiate sui fianchi: «Sei stupido per caso? Ti diverti a far rompere le gambe alle persone? Chi ti ha insegnato l’educazione?». Il bimbo ha prima un brivido, poi si incupisce guardandola, mentre le labbra e il mento cominciano a tremolargli. La mamma, che ha assistito a tutta la scena, sopraggiunge rapida e protettiva mentre il suo frutto esplode in pianto. «Ma chi te l’ha data a te l’educazione! Ti pare normale far piangere un bambino di quattro anni? Mica l’ha fatto apposta. Perché invece non guardi dove metti i piedi? Gli hai anche sfasciato la costruzione!». Noemi sorpresa: «Ma…signora! Stavo quasi per cadere! Non ha visto?!». La mamma caricata dai lamenti del bimbo: «E di che ti preoccupi? Con quel popò di airbag che ti ritrovi al massimo rimbalzi e ti ritrovi di nuovo in piedi!». Dall’ombrellone di famiglia del piccolo esplodono risate ed una standing ovation. Noemi ingoia il rospo, si gira sui talloni e se ne va stizzita bofonchiando: «Cafoni! Cafoni. Cafoni…». Quando arriva trova Silvano che, oltre ad essersi già sicuramente accaparrato i voti di baffoni e famiglia, ci sta provando anche col bagnino e il suo aiutante giocando a carte simpatico e gesticolante con loro sul lettino. «Scopa!», strilla euforico sbattendo giù una carta. «Magari…» mormora il bagnino guardando sognante sorgere gli airbag di Noemi. Lei invece lo guarda con aria schifata e prega Silvano: «Ce ne andiamo? Sono stufa.». Silvano si congeda concedendo e rimandando la rivincita al giorno dopo. Mentre raccolgono le loro cose Noemi gli fa mielosa: «Amore, mi piacerebbe imparare ad andare sul windsurf…». «Il windsurf? Ma sei sicura? Guarda che è molto faticoso, ci vuole molta forza, sei certa che…». «Certo che sono sicura e poi io la forza ce l’ho, che ti credi. C’è un club laggiù, dove danno lezioni. Ho già preso appuntamento, comincio domani alle cinque.». «Alle cinque?! E tu ti vorresti svegliare alle cinque per….». «Ma no!», lo blocca, «Alle cinque del pomeriggio!». «Mh… e quanto costa?». «Ottanta euro l’ora e mezza.», risponde con un fil di voce da zucchero filato. «OTTANTA EURO!!!» muggisce imbufalito. Noemi trasformata in Heidi: «Dai Amò… non ti chiedo mai niente… fallo per la tua trottolina… e dai…». Pausa imbarazzante… «Vabbè…se tu non puoi… vuol dire che mi farò mandare i soldi da nonno.». Ah no! Da tuo nonno no! I soldi te li do io! Ce li ho cosa credi! Stavo pensando! Mi sembra solo un po’ caro… Ma almeno sono professionisti?». «Certo! Mi sono assicurata, mica sono fessa!». Poco dopo sono nel motel e mentre Noemi è nella doccia, Silvano in accappatoio sul balcone litiga al telefono con il padre per farsi accreditare altri soldi sul conto avanzando la scusa che per incontrare delle persone importanti dovranno frequentare ogni sera un locale esclusivo del posto. Alla fine, sudato, la spunta sotto la velata minaccia del padre: «Spero che almeno ne sarà valsa la pena! Silvo, il futuro di questa azienda è nelle tue mani. Tu sei l’unico erede insieme a tua sorella ma lei è fimmina, sei tu che devi prendere le rondini in mano!», «Le redini papà… le redini!», interviene Silvano sconsolato. «Si vabbè Silvo… lo hai capito il senso no? Te la devi meritare questa azienda. Non puoi capire i sacrifici che abbiamo dovuto fare io e tua madre… Tu e tua sorella avete trovato già apparecchiato, ma chi è che ha cucinato. Eh? Chi è che ha preparato tutto Silvo? Voi giovani senza manco sapere come è fatta la cucina e chi ci suda dentro, già state alla frutta! Mangiate, mangiate, mangiate! Il tuo bisnonno è migrato vestito di stracci, secco come un anguilla e con una valigia piccola piccola per l’ameri…», Silvano alza lo sguardo al cielo sbuffando silenzioso, ecco una delle rare volte in cui proprio non ama stare al telefono, «…e quando è ritornato, da anguilla si era fatto capitone e ne teneva due grosse di valigie in mano. All’America ha fatto tutti i lavori pover’uomo: ha pulito le strade, poi ha pulito le scarpe, le macchine, i piatti, i capelli….poi ha pulito le vetrine Silvo, e alla fine si è messo a spararle ‘ste vetrine pover’uomo, perché magari s’era scassato i cabasisi di pulire, pulire, pulire! RATATTATTATTATTA…», Silvano imita in silenzio la mitraglietta con gli occhi al cielo, ha sentito quella storia miliardi di volte… poi appoggia di nuovo il cellulare all’orecchio con tempismo perfetto, «….TATTATAAAA!!!! Mai mi scorderò le sue ultime parole sul letto di morte. Pentito per quell’impeto di violenza giovanile, confessò a me, suo piccolo e amato nipote, che aveva cominciato a sparare alle vetrine perché a forza di pulire, pulire, pulire…aveva avuto paura di diventare una fiiiimmina! Tuo bisnonno teneva i coglioni! E così li tiene tuo nonno! Ricordatelo! Lo ha messo lui il primo mattone e io e tua madre abbiamo continuato a posarli, uno al giorno Silvo, tutta la vita. Tu sei portato per trattare con la gente, noi lo sappiamo. Devi fare in modo da portarci la migliore materia prima al prezzo minore. Le mandorle Silvo! Pensa alle mandorle! Noi ci dobbiamo allargare se no coliamo a picco, hai capito? Se non andiamo in fondo andiamo a fondo! La concorrenza Silvo! Dobbiamo arrivare più lontano coi nostri dolci. Anche agli esteri se ci riesci! Noi non vogliamo che entri da quella porta là Silvuzzo, hai capito bene quale porta. Quella è più facile ma non per quelli come te, è pericolosa per te, tu sei troppo raffinato. Tu devi entrare da quell’altra, quella dei voti, che tanto è la stessa cosa, solo che è legale Silvo, è pulitica.». «Politica papà…politica!», lo interrompe Silvano stancamente. «Si vabbè… politica, pulitica… è la stessa cosa…. l’importante è che non ti devi sporcare le mani, quello lo fanno altri, le tue sono delicate. Tu devi solo fare qualche saldatura dove e come si deve, collegare i fili dove vanno collegati, poi schiacci bottoni, lasci passare corrente e basta. Seduto comodo dietro alla scrivatua…». «Scrivania papà… Scrivania!», lo ferma Silvano boccheggiante. «Si vabbè… la scrivatua, la scrivamia… o di chicchissia, è solo un mobbile di legno! L’importante è che devi essere preciso! Hai capito? Noi siamo vecchi Silvo! Ci devi pensare tu. Tutto è nelle tue mani. Tanto qua dentro eri buono solo a mangiare e chiacchierare, non sei fatto per stare qua dentro. Tu ti devi arrampicare Silvo e finiscila di mangiare troppo… che per arrampicarsi bisogna essere leggeri, secchi, bisogna avere fame per arrivare… Anguille! Bisogna che fai l’anguilla! Come tuo bisnonno…». Silvano lo interrompe in un timido moto ribelle: «Eh… ma le anguille scivolano papà, non si possono mica arrampicare…». «Non fare il cretino con me Silvù! Porta rispetto a me e soprattutto alla buon’anima di quell’angui… ma che mi fai dire… alla buon’anima di quel grand’uomo che era tuo bisnonno hai capito? Se non è l’anguilla allora fai la serpe, la lucertola, il ragno, il rospo o la bestia che vuoi tu! L’importante è che ti meriti quest’azienda Silvo! Mo’ ci dobbiamo mettere a fare i pieroangeli con gli animali… Come sei fesso! Svegliati figlio mio, svegliati! E a proposito di fessi…Stai attento a quella! Stai a sentire tua madre che ci ha il sesto e pure il settimo di senso, perché ti vuole bene. Quella Silvo… quella lì… come te lo devo dire… insomma, si vede che… è un po’ zocc…». Silvano sudatissimo comincia a strofinarsi il cellulare sul petto peloso e a strillare: «Papà? Non ti sento, c’è un disturbo! Mi raccomando i soldi! Che? Non ti sento più! Ciao! Bacia la mamma! Ciao! Ciao, ciao…». Chiude il cellulare stremato ma orgoglioso di essersi inventato quella tecnica per troncare le telefonate. Noemi esce dalla doccia ed appare in camera da letto in accappatoio. Procace volpe, ha già intuito il risultato positivo della telefonata solo guardando Silvano pallido ed esausto ma sorridente. Decide di ricompensarlo. Eccitata dal fatto che quella sarà forse l’ultima volta che gli si concederà e soprattutto ripassando, sempre inconsciamente, a memoria il marmoreo e bronzeo corpo di Davide, gli sussurra: «Amore… sei tutto sudato, vieni, siediti qui…». Gli sfila il cellulare, lo spegne e lo getta sul letto, prende Silvano per mano delicatamente e lo accomoda seduto su una poltroncina. Standogli in piedi davanti, si scioglie la cinta dell’accappatoio lasciandogli intravedere solo uno spiraglio verticale di nudità. Si avvicina a lui ipnotizzato, gli scioglie la cinta dell’accappatoio e lo apre appena, struscia le punte dei capelli ancora gocciolanti risalendolo dal basso fino al petto ansimante, scivola con le ginocchia sui braccioli, lo accoglie adagio aiutandosi leggermente con le unghie pungenti e si rilascia lentamente a ca-val-car-lo asfissiandolo con gli airbag voluminosi. Quelle quattro sillabe più un secondo dopo, un lungo, crescente muggito tremulo, raschiato ed inquietante attraversa la sottile parete del motel turbando la pennichella del signor baffoni e sua moglie affittuari della stanza accanto che supini si sgranano a vicenda gli occhi paralizzati dal terrore stringendosi una mano, infine sfuma in una sorta di barrito acuto e strangolato. Venti secondi dopo i cinque, muggito e barrito compresi, Silvano è bianco e asmatico sbracato sulla poltrona. Noemi in bagno a pettinarsi: «Usciamo?». Lei sa molto bene come fare in fretta con lui. Non è difficile. Il giorno dopo sono di nuovo in spiaggia e Noemi non sta nella pelle aspettando che si facciano le cinque per andare a coronare il suo segreto sogno di gloria. Non fa altro che figurarsi il suo futuro prossimo, ricco di viaggi e di serate di gala, ricco di gioielli, ricco di vestiti e di… ricco. Silvano, con il suo fine istinto da animale sociale, di cui la natura lo ha generosamente provvisto, fiuta qualcosa di diverso in lei: «Amò, stai bene? Ti vedo un po’ persa… Non ti ho mai vista così. Anche ieri sera, mi sembravi un po’ distante.». Lei in calcio d’angolo: «Eh? Io? Ah… non so. Mi sa che mi stanno venendo…». «Ma se le hai avute la settimana scorsa!». «Eh? La settimana scorsa…? Beh… lo sai che ho il ciclo molto irregol….». Per fortuna squilla il cellulare di Silvano e una volta tanto è grata a quel dispositivo. Decide di passare la mattinata ad abbronzarsi e a nuotare. Deve preparare al meglio il fisico per il grande momento. Verso le tre del pomeriggio, mentre Silvano gioca a carte con i bagnini, nota di nuovo le braccia falso allarme e figuraccia del giorno prima. «È lui!», realizza sgranando gli occhi. Le viene un lampo di genio e si avvia verso il mare con un progetto preciso: vuole sciogliere il ghiaccio subito in modo da non perdere troppo tempo dopo, all’appuntamento delle cinque. Va verso Davide che ha superato da poco le ultime boe di salvataggio e quando è sicura di non toccare più lo aspetta nuotando sul posto. Quando lui le è quasi a fianco, ad una decina di metri, fa finta di essere in difficoltà e comincia la farsa: «Aiuto! Per favore! Aiutatemi! Ho un grampio!» ma, cercando anche di non attrarre l’attenzione della gente sulla spiaggia, calcola male l’intensità dei lamenti perché Davide, che nuotando sul dorso ha le orecchie immerse in acqua, non la sente affatto alternando tranquillo le sue bracciate regolari. Sta quasi per decidersi ad alzare il volume quando sente alle spalle una vocina: «Signorì! Signorì! Che succede? Aspettate! Vi aiuto io!». È il signor baffoni con tanto di maschera e boccaglio. Non ne ha avvertito la presenza perché troppo presa a studiare la traiettoria di Davide. «Noooooo!!!» non fa in tempo a urlarsi dentro che quello già le ha agganciato un braccio sotto gli airbag e nella foga di eroico salvatore le spara una cornata con il tubo del boccaglio in un occhio. Lei a quel punto urla davvero. Lamentandosi del dolore all’occhio e immaginando la catastrofe del risultato estetico, cerca disperata di liberarsi dalla presa del povero benintenzionato baffoni il quale, invece, convinto che se lei sta gridando in quel modo è perché sta male davvero, vuole assolutamente salvarle la vita, forse anche per riscattarsi del «Cafone!» incassato il giorno prima. Si libera deciso della maschera gettandola e cerca con tutte le sue esili forze senili di riportarla a riva. Ci sta riuscendo tranquillamente se non fosse che lei, esasperata dalla situazione imbarazzante, cerca di divincolarsi con uno scatto improvviso e senza volerlo gli molla una gran gomitata sul mento slogandogli di lato l’esile mascella . Il povero baffoni, va un attimo giù, tracanna un bel quartino d’acqua di mare attraverso la bocca distorta ma riemerge eroico e non molla la presa. Quando si accorge di non riuscire più a respirare, però, va in panico avvinghiandolesi tossendo, con la mascella di lato e gli occhi rossi fuori dalle orbite. Terrorizzata alla vista di quella specie di Totò-zombie baffuto che non vuole mollarla e ora la fissa lamentoso con una smorfia contorta incastrata tra i seni, schifata lo disincaglia dalla morsa mammillare ma, così facendo, va giù anche lei tenendogli compagnia nella bevuta. Per fortuna quel clamore richiama l’attenzione di Davide che nel frattempo è ormai a pochi metri dalla riva. Prima di tuffarsi e nuotare verso i due che ormai annaspano in una specie di rissa fatta di grida, spruzzi e lamenti da oltretomba, con un fischio richiama l’attenzione del bagnino e quindi anche quella di Silvano. In dieci secondi, che in certi casi possono essere anche troppi, Davide, che è appena reduce da una nuotata di qualche chilometro, riesce ad essere sul posto. Si rende conto che il più grave è il baffoni che ormai sta quasi perdendo i sensi, lo afferra e grida a Noemi, che pur tossendo e respirando a fatica ancora riesce a tenersi a galla, di resistere qualche secondo. Comincia a trascinare faticosamente il povero baffoni verso riva. Per fortuna il pattino con il bagnino, l’aiutante e Silvano che urla verso Noemi terrorizzato, gli è già incontro. Ancora in corsa tirano su baffoni quasi esanime mentre Silvano, preso dall’agitazione fa avanti e indietro sul pattino facendolo oscillare paurosamente con il suo importante peso indeciso se tuffarsi, finché Davide non gli ordina brusco di sedersi e stare fermo se non vuole peggiorare la situazione. Il bagnino si tuffa e recupera Noemi. Davide la tira sul pattino. Entrambi i superstiti sputano polmoni ed acqua salata ma sono salvi. Sulla riva si è formata una gran folla che come approdano scoppia in un grande applauso liberatorio. Noemi piange avvolta nell’asciugamano seduta sul pattino vicino a Silvano che tenta maldestramente di consolarla, coscientemente imbarazzato dalla sua poca presenza di spirito in quella occasione. Per sua fortuna il cellulare squilla, sfiora un bacio poco convinto sulla fronte di Noemi e corre all’asciugamano per rifugiarsi nell’ennesima telefonata. Il povero signor baffoni invece sta buscandosi una ramanzina da sua moglie mentre cerca di rimettersi a posto la mascella massaggiandosela. Noemi ha paura di vedere la condizione del suo occhio ma decide coraggiosa di farlo. Si alza e si avvia verso il lido mentre Silvano, ripreso il suo solito colore grazie al telefonino, le fa un cenno con la mano e un occhiolino. «Che imbecille! Proprio adesso mi fai un occhiolino?», pensa salendo le scale del lido tastandosi l’occhio offeso con le dita. Su al lido la accoglie la barista occhialuta: «Oddio, Noemi! Ma che ti è successo! Ci hai fatto prendere un colpo! Vieni siediti!». La accomoda ad un tavolino mentre lei le improvvisa una versione distorta: «Ho avuto un grampio mentre ero al largo…», «Un crampo!» la corregge la barista istintivamente ma ansiosa, aspettando a bocca ed occhi aperti il resto della storia, «si…si, un crampo… » prosegue Noemi «Poi quel signore con i baffi si è sentito male, ho cercato di salvarlo…». Quando la barista, commossa, le dice che va a prepararle un tè caldo, lei le chiede se per caso ha uno specchietto da trousse. Dopo un po’ la barista torna con il tè, le porge lo specchietto, le fa una carezza in testa e poi ritorna a servire al bancone. Noemi beve un sorso, poi si guarda l’occhio. Per fortuna non si vede quasi niente, tira un sospiro di sollievo e si gira per guardare l’ora nell’orologio appeso dietro al bancone. Torna a voltarsi e in piedi davanti a lei c’è Davide. Lei non può fare a meno di notare che il suo sguardo deve metterlo a disagio, tradisce ancora parte di quei tre secondi. È suo, ne è sicura. «Come va? Io sono Davide, non abbiamo avuto il tempo di presentarci, si può ben dire…». «Io sono Noemi! Sto un po’ meglio… mi fa un po’ male l’occhio e mi gira ancora la testa… Siediti! Non ti ho neanche ringraziato… Posso offrirti qualcosa?», la volpe non perde l’occasione. «Non preoccuparti…» le fa lui restando in piedi, «… per fortuna passavo di lì. Senti, credo che per la tua lezione di windsurf sia meglio rimandare, visto quello che hai passato…». «No! No! Sono solo le quattro, mi sento già meglio e poi ho proprio bisogno di distrarmi.». «Sei proprio sicura? Guarda che possiamo cominciare domani se vuoi…». Lei insiste e lui infine cede salutandola e dandole appuntamento alle cinque al club. Noemi avverte qualcosa di strano nel suo sguardo anche nell’atto di congedarsi. «Ce l’ho in pugno!», si urla dentro più che soddisfatta. Alle diciassette e cinque minuti, mai essere puntuali agli appuntamenti, Noemi avanza con le stesse movenze di quando si espone sulle passerelle verso Davide che, aspettandola, sta trafficando vicino ad una tavola da windsurf a pochi metri dalla riva. Lui, in ginocchio alle prese con la tavola, si volta: «Ciao! Allora? Ti sei ripresa?», «Si! Sto benissimo e non vedo l’ora di cominciare!». «Bene! Allora siediti. La prima lezione, come puoi ben immaginare, sarà soprattutto teorica. Prima di iniziare però, devo farti qualche domanda di routine. Diciamo che mi serve per capire il tuo “approccio” con il mare.», «Va bene! Spara! Sono pronta!», «Allora Noemi, da quanto ho potuto capire nella confusione dell’incidente di prima, tu hai avuto un crampo mentre stavi nuotando, ti succede spesso? Scusa se te lo chiedo, ma il windsurf è una disciplina molto faticosa, richiede un grosso dispendio di energie e perdita di sali minerali, quindi, se soffri spesso di crampi non è consigliabile, inoltre vorrei sapere se hai problemi con l’acqua alta, insomma, sei una buona nuotatrice?». Lei più che disinvolta: «No guarda, il crampo mi era già bello che passato, è stato quel signore con i baffi che si è sentito male ed io ho cercato anche di salvarlo ma lui era così agitato che stava facendo affogare anche me…non so che gli è preso. Io so nuotare benissimo ed è rarissimo che mi venga un crampo e comunque so come gestirlo. Non ti preoccupare. Ma chi ti ha detto queste cose?». «Il signor Gerardo, il signore con i baffi, mi ha detto che ti ha sentito strillare che avevi un crampo e ha cercato di riportarti a riva…. », «No guarda! Io stavo benissimo e ho cercato anche di dirlo ma quello mi sa che è un po’ sordo perché ha insistito e per poco non affogavamo tutti e due!». Davide la guarda un attimo perplesso, poi prosegue: «Va bene Noemi, se è così allora possiamo continuare la nostra prima lezione. Tu sai che esistono dei venti che ….», mentre lui parla di venti, si alza una leggera brezza e lei, che si trova sottovento, è invasa per un attimo dall’odore della sua pelle misto a quello della salsedine. Questa fragranza le scatena un effetto narcotico imprevisto e mentre lui continua a parlarle di venti, lei è praticamente catatonica con lo sguardo fisso sulle sue labbra. Per fortuna Davide comincia a disegnare sulla sabbia e Noemi abbassa lo sguardo sulle sue mani ripensando per un attimo al filo di saliva di Silvano mentre dorme. Terrorizzata che ciò non possa accadere anche a lei in quel momento, chiude subito la bocca semiaperta e cerca disperatamente di concentrarsi sui segni che lui fa sulla sabbia. Intanto la brezza continua a soffiarle nelle narici quell’aroma sconvolgente e per un attimo si rende conto che la lingua vorrebbe uscire ed allungarsi come una serpe per assaggiargli la pelle della mano che continua con l’indice a solcare la sabbia. Ormai guarda i disegni grezzi di Davide come fossero un opera astratta estemporanea. La sua pelle. È irresistibile quell’odore, le scatena il finimondo. «Com’è possibile? Non riesco a controllarmi? Io?», riesce a domandarsi in un barlume di ripresa coscienza e in un attimo in cui la brezza cala. La brezza si rialza. Gli salterebbe addosso all’istante anche se fosse l’ultimo dei pezzenti viventi sul pianeta. Ormai Noemi non pensa più alle barche a vela, allo Champagne, alle serate di gala. Si sente spaventata e soprattutto stracotta di lui: «Quindi, come ti spiegavo prima., quando il vento ti viene da est, l’inclinazione del boma… Noemi! Ma ti senti bene?». Lei risale a fatica dal trans: «Eh? Si! Si! La pruoma…». «Vedo che fai fatica a seguire, deve essere lo shock dell’incidente di prima. Ascolta Noemi, io credo che sia meglio che torni dal tuo ragazzo e che ti riposi. Non ti preoccupare, dirò al club di non farti pagare questa lezione, vedo proprio nei tuoi occhi che sei esausta. Possiamo cominciare tranquillamente domani, se ti va. Sei d’accordo?». Noemi che essendo ancora sottovento ha decifrato a fatica il messaggio di Davide, abbassa lo sguardo, si riscuote con un tremito e decide che forse è meglio battere in ritirata, si sente troppo vulnerabile e questo le crea una sensazione di perdita di dominio a cui non è per niente abituata. «Si. Hai proprio ragione, credevo di farcela ma invece mi sbagliavo. Non mi sento tanto bene, forse è meglio rimandare a domani.». Davide si alza e la aiuta ad alzarsi. Noemi, ancora un po’ inebetita, alza lo sguardo ai suoi occhi. Si fissano per qualche secondo. Davide ha quello sguardo. Quello dei tre secondi di suo papà ma con il lieto fine. Non è più sottovento e liberata dall’incantesimo prova l’estrema mossa: «So che tu sei anche un istruttore di vela…», gli fa volpina guardandolo con gli occhi di gatta, «si.» le risponde Davide tranquillo, «si può ben dire che la barca a vela è la mia vita, in un certo senso…», Noemi sognante espandendo gli airbag: «Ohhhh…Davvero? Non sai quanto amo la vela. Il mio sogno fin da bambina è sempre stato quello di andare in barca a vela fino a Madrid. Sogno di essere sdraiata dondolando sulla barca guardando la costa al tramonto…». «Madrid? Purtroppo credo che questo rimarrà solo un sogno per te, a meno che non affitti un rimorchio e trasporti la barca fino lì. Madrid è a duecentocinquanta chilometri dal mare!», termina ridendo, «Noemi, vedo proprio che sei sconvolta. Forse volevi dire Barcellona? Dai, vai a casa e riposati. Domani è un altro giorno.». Noemi rossa come una anguria aperta: «Eh? Si! È vero! Barcellona, che stupida… Hai ragione! Sto proprio male! Meglio che torno a casa.». Si salutano. Si sente un verme e vorrebbe andar via come una talpa sotto la sabbia, però nota ancora quella strana espressione nell’ultimo sguardo di Davide e, anche se sconfitta, sente che le rimane uno spiraglio di possibilità. «Lo so! Sono sicura che posso farcela! Che stupida! Si, forse è colpa dell’incidente. È colpa di quel baffoni ficcanaso! Se non fosse stato per lui a quest’ora…», rimugina mentre ritorna da Silvano. Quella sera hanno un appuntamento al porticciolo. Una cena sullo yacht del principale fornitore dell’azienda familiare di Silvano. Alle nove Silvano e Noemi camminano sul molo del porticciolo fiancheggiando le barche all’attracco da un lato e dall’altro una fila di coloratissime bancarelle, piene di zuccheri caramellati e filati. Quella dolce fragranza fluttua nell’aria come tentando di sopraffare l’odore di alghe morte che risale dal mare del porticciolo. Noemi: «Che puzza!». È la sera dell’annuale ricorrenza del Santo patrono, ed il piccolo centro marino è addobbato a festa fino ad invadere buona parte del porto. Finite le bancarelle, si ritrovano a camminare nella luce che inizia ad essere crepuscolare verso lo yacht, anch’esso illuminato a festa, attraccato verso la fine del molo. Silvano è nervoso. Pur sentendosi a proprio agio nel completo sabbia per le grandi occasioni, vestendosi in fretta ed in preda al telefonino, ha messo di nuovo per sbaglio quel maledetto paio di mutande strette del quale non realizza per quale motivo non riesca mai a liberarsene. Riappaiono sempre nel suo guardaroba e nella fretta finiscono sempre per fregarlo all’ultimo momento. Cammina con un andatura che fa pensare alla mummia di Robocop. È indeciso tra il tornare al motel per liberarsi di quel cilicio ma tardare a quell’importante appuntamento voluto e organizzatogli dall’ansiosissimo papà, ed il cercare di dimenticarsi le sue parti basse per concentrarsi sugli affari. Pensando anche, in favore di questa seconda ipotesi, che questa condizione di ristrettezza possa renderlo più attento e decisivo nella diplomazia pro-azienda familiare che gli si prospetta nel corso della serata. Noemi, per l’occasione, ha messo un completino celeste iper-attillato con minigonna e airbag compressi a mille atmosfere abbinato a tacchi a spillo da undici centimetri. Prima di mettere quelle scarpe, purtroppo, non poteva sapere che l’accesso allo yacht prevede una scaletta a pioli di due metri e mezzo. Poiché alcuni ospiti già circolano a poppa curiosando e discutendo con gli aperitivi in mano, Noemi, sentendosi osservata, si sente obbligata a rinunciare all’idea di sfilarsi i trampoli prima di attraversare l’insidiosa scaletta e attende che Silvano imbocchi per primo in modo da poterla aiutare più facilmente, tenendola per mano, a superare quella dozzina di troppo strette tavolette. Silvano invece, da buon cavaliere già fin troppo osservato dagli ospiti astanti, insiste cerimonioso per farla attraversare per prima nonostante i pressanti e nervosi inviti disinvoltamente subliminali di Noemi che, prevedendo la difficoltà dell’operazione, preferirebbe invece che fosse lui a salire per primo. Infine desiste dal convincerlo e parte concentrata e convinta di dovercela fare affrontando i primi quattro gradini con la dovuta grazia, sebbene un po’ ostentata e nonostante il fiato sospeso. I problemi cominciano appena i centoventicinque chili di Silvano la seguono. La passerella comincia ad oscillare. Noemi, che ora è intenta ad affrontare il sesto gradino, non riesce a centrarlo bene con lo spillo e precipita all’indietro. Silvano a quel punto, costretto a lasciare i corrimano per sostenerla, la sorregge prontamente ma cercando di mantenere l’equilibrio, comincia suo malgrado a far oscillare la scaletta con un movimento del tipo hula-hop. La reazione a poppa è variegata. C’è chi comincia come fosse ipnotizzato da quella scena a ripetere gli “Ohhh! Ohhhhh!!!” dei due sventurati e chi invece si dà da fare a ripetere “Fate qualcosa! Fate qualcosa!”. Entrambi i gruppi sempre con l’aperitivo in mano più o meno agitato. Per fortuna, arriva di corsa un signore attempato ma ancora abbastanza tonico che si aggrappa ad una sbarra e si protende verso la scaletta fino ad afferrare la mano di Noemi che ha perso il contegno ormai in preda al panico, più che per la probabilità vieppiù maggiore di finire in acqua, per la figura che ne conseguirebbe. L’operazione di salvataggio riesce. Noemi sale a bordo rossa come una chioccia aggredita durante la cova. Farfugliando qualcosa che somiglia a un ringraziamento nei confronti dell’anziano e pronto signore, guarda a terra chiedendo «dov’è la tualet?» cercando di sparire alla vista e all’applauso degli ospiti quanto prima possibile per recuperare la sua perduta dignità e soprattutto per massacrare Silvano il quale è ancora sbuffante alle prese con la scaletta. Mentre il valoroso signore aiuta anche lui a salire a bordo, Noemi ancora rossa di rabbia già si è avviata verso prua con lo scopo di trovare un posto abbastanza isolato per assalire Silvano. Ripensa alla figuraccia ed è depressa al pensiero che per la seconda volta nella giornata un signore anziano le abbia offerto il suo aiuto. «Perché non c’era Davide al suo posto?», si domanda sull’orlo di piangere anche se non lo farà mai per via del trucco. «Possibile che attiro solo vecchiacci?» quasi non fa in tempo a chiedersi perché, che dallo scambio di saluti e battute tra Silvano ed il “vecchiaccio” capisce che si tratta proprio del proprietario della barca il quale ora la sta guardando con un ampio sorriso e le viene incontro insieme a Silvano tenendolo a braccetto. Dentro Noemi, in un attimo, si riattiva automatica la calcolatrice: yacht lussuoso uguale tanti soldi, tanti soldi uguale vecchiaccio, vecchiaccio uguale…: «Oh! Non so proprio come ringraziarla! Mi ha proprio salvata all’ultimo momento! Se non era per lei a quest’ora! Ma che forza che ha! Mi ha tirata su come un ruscello!!!». Renzo il vecchiaccio, che è un ricco imprenditore sulla settantina che conosce bene la vita, robusto, il viso rubicondo incorniciato nella barba brizzolata e un cappello da capitano, prima di reagire a quelle evidenti moine fa una pausa abbastanza imbarazzante guardando fisso Noemi con aria curiosa, infine scoppia in una fragorosa risata e le fa: «Un ruscello? Signorina! Aspiro almeno ad essere un torrente in piena nonostante l’età! Voleva dire un “fuscello”! Si vede che è ancora un po’ agitata.» Dice voltandole lo sguardo e dedicandole la stessa attenzione di un segugio per una tana di volpe abbandonata. Dopo aver guardato seriamente Silvano per un attimo con un esplicito quanto enigmatico sopracciglio alzato, gli sorride e stringendogli la testa con un braccio gli dà un pizzicotto sulla guancia. «Voi giovani!» continua, «…quanta strada avete ancora davanti! Allora, vi sposate?». Silvano balbettante: «Ci…ci stiamo pensando…». Renzo lasciandogli la testa: «Io e tuo padre Silvà! Quante ne abbiamo combinate! Ci conosciamo da quando eravamo piccoli così! E tua madre? Una gran donna! Devi ascoltarla Silvà, tua madre ha una grande saggezza! Adesso andate, visitate la barca e fate come a casa vostra. Signorina…Noemi? Posso darle del tu? Ho sentito che cercavi la toilette, è da quella parte. Vai Silvà, accompagnala, fai il bravo cavaliere. Ci vediamo dopo!». Entrano nel bagno. Noemi è inviperita. Sia per il muro che ha trovato in Renzo che per la figuraccia che ha fatto per colpa di Silvano: «Sei un cretino! Non hai visto che volevo che passassi per primo? Non ti sei accorto delle scarpe? Ah! Già! Ma tu non ti accorgi di niente! Ti svegli solo quando suona quel cavolo di cellulare! Sei un morto ambulante! Mi hai proprio rotto…». Silvano, che è visibilmente oppresso dal paio di mutande traditrici ed in più ha carpito parte del messaggio muto di Renzo poco prima, è rosso e sta per fare qualcosa che fino ad ora non ha mai osato fare, urlare: «Smettila!!! Basta! Stai sempre a lamentarti mentre io mi faccio in quattro per non farti mancare mai niente! E le scarpe! E i vestiti! E le borsette! E l’orologio! E adesso pure il windsurf!!! E poi sono stufo di come fai la smancerosa con gli altri uomini!!! Adesso pure con Renzo che ha settant’anni e potrebbe essere tuo nonno!!! Allora è vero che ha ragione mia mamma!!! È vero che sei una…», inchioda sull’articolo indeterminativo come rendendosi conto di essere arrivato ad un limite che non riuscirà mai a superare, anche perché vede montare sul viso di Noemi un’espressione che gli fa paura: «Sei una?», gli risponde lei sottovoce, la faccia tirata e inespressiva. Lui comincia ad aver paura. «Sei una?», continua lei tra i denti incrementando impercettibilmente il volume e con un tic involontario delle sopracciglia. Lui adesso è terrorizzato: «Ascolta… amore…». «Sei una???» prosegue imperterrita e aumentando ancora il volume. Adesso, con una palpebra sfarfallante, avanza molto lentamente verso di lui che ormai è alle corde, bianco, sudato ed ansimante. Quel pesantissimo silenzio di ghiaccio, però, viene interrotto improvvisamente. Accanto, nella cucina che è separata dal bagno solo da una sottile paretina, Said e Nabil, due cuochi marocchini assunti da Renzo in occasione di quella cena, stanno fumando pacificamente un aperitivo mentre cucinano e Nabil, che dei due è il più spiritoso, non riesce a cedere alla tentazione di rispondere a quella insistente domanda proveniente dalla stanza accanto. «Zooculah?», dice a voce bassa con un accento talmente esilarante che fa sbruffare Said in una risata educatamente trattenuta nel volume ma convulsiva ed altamente contagiosa. I due non immaginano che la paretina divisoria è talmente sottile che dall’altra parte i due litiganti stanno ascoltando perfettamente tutto nonostante le loro dovute precauzioni. Silvano reagisce tirando su le sopracciglia e riabbassandole subito senza riuscire a trattenere un accenno di risatina: «Ehh…». Per Noemi invece l’effetto è opposto: le si allargano le narici, sgrana due occhi rossi e fiammanti, quindi parte come uno zombie all’assalto di Silvano il quale subito e istintivamente si volta verso la porta per cercare di aprirla e scappare, vedendola avanzare vulcanica verso lui. Non fa in tempo ad aprirla, Livida dalla rabbia accentuata da quell’ultimo scherno, al grido di «BASTARDO!!!» gli sferra un calcio nel di dietro rimanendo scalza da un piede e lasciando la scarpa appuntita incastrata tra le natiche e l’inguine di Silvano il quale emette un rantolio soffocato. Rimane un attimo attaccato alla maniglia della porta come folgorato da quella scarpetta di cenerentola rosa dal lungo tacco che ora, penzolandogli, sembra la coda di un maiale che ha preso la scossa elettrica. L’unico palliativo a quell’immenso dolore dicotiledone lo scoprirà più tardi, rendendosi conto che gli elastici delle mutande traditrici hanno finalmente ceduto. Suona il suo cellulare, lei si lascia cascare a terra con la testa tra le mani, lui si sfila tremolante la scarpa, la lascia cadere ed esce rantolante dal bagno rispondendo al telefono con un filo di voce rauca : «Baaaapà..? Nooo…ddi righiamo..». Esce chiudendosi la porta alle spalle lasciandola da sola a singhiozzare di rabbia seduta per terra, senza una scarpa e con il trucco degli occhi ormai sciolto che le riga nero e verticale le due metà del viso. Dall’altro lato in cucina i due cuochi continuano piano a sghignazzare ma ormai, più che altro, per l’effetto del loro aerobico aperitivo. Noemi, presa da un nuovo estremo raptus di rabbia, afferra la scarpa reduce dall’incontro retro-ravvicinato con Silvano e comincia a colpire la paretina con il tacco al grido di: «CAFONI!!!CAFONI!!!CAFO…», proseguirebbe all’infinito ma viene frenata dal bussare alla porta e dalla voce preoccupata di Renzo dall’altra parte: «Noemi? Tutto a posto?». «Si!!! Si!!! Scusa! Sono al telefono!». Esce dal bagno un quarto d’ora dopo. Sia per la vergogna di farsi vedere subito pensando che oltre alla figuraccia della scaletta tutti certamente avranno sentito la sua bagarre con Silvano, sia per rifarsi di nuovo il trucco.  Quando apre la porta sente le voci degli ospiti, risate, rumori di stoviglie e posate venire da prua, stanno cenando. Non se la sente di farsi vedere e poi non vuole vedere Silvano. Le ci vuole ancora un po’. Quindi si sposta senza far rumore a poppa, che è deserta e si accende una sigaretta. Fumando getta un occhio distratto sulle altre barche ormeggiate. Improvvisamente il suo sguardo è attirato da una silhouette dall’aria familiare che si muove su una barca a vela attraccata tre barche dopo lo yacht. «Davide!». Si ricorda che la barista le aveva detto che viveva su una barca lì al porticciolo. Non ci pensa due volte. Si sfila rapida le scarpe, discende la scaletta dello yacht e si avvia decisa verso la barca di Davide. Mentre cammina progetta a puntino l’entrata in scena. Arrivata quasi alla meta, rallenta il passo, tira fuori il telefonino e comincia a passeggiare davanti alla barca di Davide fingendo una tranquilla conversazione telefonica accompagnata da frequenti risatine. Sempre tenendo sotto controllo la posizione di Davide con la coda dell’occhio, complice dell’oscurità, aspetta di vederlo a poppa per avvicinarsi ed inscenare l’incontro casuale. Davide, che ha cenato ed ora è preso nelle sue faccende, sbuca per un attimo a poppa. Lei non perde l’attimo e, sempre facendo finta di telefonare, si avvicina alzando la voce per cercare di farsi notare. Lui alle prese con delle funi, si volta incuriosito da quella presenza solitaria vicino alla sua barca, la nota e gli fa un cenno con la mano. Noemi inscena grande sorpresa e chiude subito il telefonino fingendo di salutare animatamente l’inesistente interlocutore. «Ciao!!! Cosa ci fai tu qui!» esterna la volpe con aria più che sorpresa. «Beh… Ci abito…». Risponde Davide con un sorriso e replica amichevole: «Tu che ci fai qui. Questa parte del molo è quasi al buio, non ti piace la festa del patrono?». «Si…No…Veramente ero a cena su quel draghetto laggiù, vedi? Quello grande tutto illuminato. Poi mi ha chiamato un amico che non sentivo da tanto e.. sai, quando parlo al telefono certe volte comincio a camminare e non mi rendo conto di dove vado a finire… ». «Eri da Renzo? Lo conosco bene. Gli do lezioni di vela e andiamo a pescare spesso insieme. Mi fa la corte perché vorrebbe che gli vendessi la mia barca. Quel vecchio lupo di mare traffichino… Beh! Un traghetto mi sembra un po’ esagerato, quello è uno yacht e io faccio arrabbiare Renzo perché gli dico sempre che con il vento, se impari a conoscerlo, puoi arrivare dove ti pare e soprattutto: mantenendoti in forma e senza inquinare.». «La tua barca è….è bellissima!!!», la volpe ha già intuito il tallone di Achille e prepara l’attacco. Infatti lui si gira un attimo ad ammirarla orgoglioso e poi, come grato per quel apprezzamento le fa: «Vuoi salire?». Noemi non aspettava altro, però è abbastanza lucida per farsi desiderare: «Oh! Mi piacerebbe… non sai quanto! Però dovrei tornare alla cena. Sai, non è corretto scomparire così quando si è invitati…». Lui però la prende in contropiede: «Hai ragione! Che stupido. Renzo poi ci tiene così tanto ai suoi ospiti…Credo che sia meglio che tu vada. Allora… a domani alle cinque!». Si rende conto che ha fallato la mossa ma già sa come riscattarsi, fa una pausa fissando gli occhi sull’albero maestro, poi li abbassa su di lui: «Però, chissà quando mi ricapiterà di salire su una barca così bella… Magari un attimo mi piacerebbe salire, giusto per sentire la sensazione. Ti ho detto che adoro le barche a vela. Mi stai tentando!». Si avvicina alla scaletta. «Va bene! Ti consiglio, però, di toglierti quelle scarpe! Guarda che questa scaletta non è agevole come quella di Renzo.». «Oh! Figurati! Sai, io faccio le sfilate, sono abituata a camminare con i tacchi dappertutto.» Imbocca la scaletta che ha i gradini effettivamente più stretti di quelli della scaletta di Renzo e inoltre sono molto poco illuminati ma ormai ha lanciato la sfida e parte decisa e fiera nella sua sfilata. A metà percorso, il suo andamento sinuoso e silenzioso è rotto da due “STLAC! SCLAT!” seguiti da due “Pluf! Plof!”. Noemi si abbassa di undici centimetri sulla scaletta mentre un piccolo branco di pescetti incuriosito già gira intorno luccicante ai due tacchi rosa galleggianti in contrasto con l’acqua scura del porticciolo. «NOOO!!! Le mie scarpe!!!» lamenta reggendosi sulle corde laterali della scaletta oscillante. Davide pronto: «Mi dispiace! Ce la fai?». Lei, furiosa dentro, ma decisa ad andare in fondo accenna un si disinvolto con la testa. Ma le scarpe sono lisce e senza i tacchi mancano di qualsiasi presa. Infatti scivola e si ritrova sospesa a cavallo di un gradino della scaletta con un piolo giusto al centro dell’inguine che la costringe a chiedere aiuto. Ma non ce n’è bisogno perché Davide è già sopra di lei, la solleva con un braccio e la porta di peso sulla barca. Sentendosi presa con quella forza e quella delicatezza, aspirando di nuovo l’aroma per irresistibile della pelle di Davide, gli appoggia la testa sulla spalla e quando sono sulla barca e lui sta per metterla giù, comincia a baciargli automaticamente e avidamente il collo come posseduta. «Ma che fai!» le dice lui staccandola da se bruscamente. Noemi rimane a guardarlo con l’espressione drogata. «Ma che ti succede!» le chiede Davide esterrefatto. Lei come in trans: «So che ti piaccio! Ho notato come mi guardi! Perché adesso mi rifiuti? Vuoi farmi soffrire? Anche tu? Tutto il mondo ha deciso di farmi soffrire?», si dispera finché non scoppia in pianti e singhiozzi. Lui immobile la osserva per un po’ con aria seria e pensierosa. Poi le prende una mano: «Dai, vieni.». La porta a prua e la fa sedere ad un piccolo tavolino di legno tondo. Poi fa il giro e le si siede davanti. «Noemi. Smettila di piangere. Ti prego. È vero, ti ho guardato e ti guardo in un modo strano. Non lo faccio apposta., devi credermi. Lo vuoi proprio sapere perché ti guardo in questo modo?». Lei ancora singhiozzante accenna un sì. Lui fa una pausa guardandola intensamente, poi si alza e ritorna poco dopo con una bottiglia, due bicchierini ed una piccola agenda consumata e foderata di cuoio in mano. «Ti piace la grappa?» le dice con la bottiglia in mano pronto per versare: «Non lo so… ma si.. versa pure, ho bisogno di qualcosa di forte.». Davide riempie i bicchierini, mandano giù un sorso tutti e due. Poi stanno per un po’ in silenzio. Nella penombra gli arrivano i rumori e i suoni della festa e, di tanto in tanto, anche qualche risata e schiamazzo dallo yacht di Renzo. Mandano giù un altro bicchierino. Lui si carica una pipa e la accende, lei si accende una sigaretta, fa un profondo tiro e poi lo guarda finalmente in viso. Davide fa un tiro dalla pipa, poi prende una piccola lanterna da terra, la accende e la poggia sul tavolino. Poi tira fuori una piccola agenda, la apre, la sfoglia fino ad un certo punto e rimane per un po’ a studiarla, alza lo sguardo e gliela passa aperta, fissandole serio il viso. Noemi ha un sussulto. In quelle due pagine ci sono incollate due foto. «Ma questa sono io! No… Sembro io! Oddio! Ma questa chi è?», chiede stupefatta. In effetti la ragazza nelle due foto le somiglia in modo impressionante. «Quella ragazza è mia figlia… Era mia figlia. E quella che hai in mano è la sua agenda, il suo diario. Lo teneva sempre con se.». «Ma che le è successo? Quando?». «Quanti anni hai?». «Ventiquattro, li compio tra poco.». «Lei adesso avrebbe la tua stessa età. Se né andata tre anni fa. Era a Parigi, conosci il progetto Erasmus? Stava studiando scienze della comunicazione, era riuscita a vincere una borsa di studio e condivideva un appartamento con altri studenti e Karim, il suo ragazzo. Un sabato sera di fine estate stavano tornando tutti insieme a casa dopo aver girato diversi locali e lei e Karim giocavano a rincorrersi con due pistole ad acqua. Lei ad un certo punto ha cominciato a correre all’indietro senza rendersi conto di andare a finire sulla strada. Karim e gli altri hanno cercato di avvertirla ma un attimo dopo un furgone l’ha presa in pieno e l’ha scaraventata sul marciapiede, davanti ai loro piedi. Karim ancora non si è ripreso del tutto, ci sentiamo spesso.» Davide prende un grande respiro e rimane silenzioso. Lei continua a guardare quelle foto, poi apre la prima pagina: «Denise….che bel nome…mi è sempre piaciuto.». Le cade una lacrima. Tira un sospiro e guarda Davide che ha gli occhi lucidi. «E sua madre? Come l’ha presa? Tua moglie voglio dire…», gli chiede. Lui si riaccende la pipa, fa un tiro gettando gli occhi verso il mare calmo, il riflesso bianco della luna sul mare entra fino all’interno del porticciolo, sopraffatto regolarmente e a tratti da quello verde della luce del faro: «È come se insieme a Denise, sia morta anche una parte di lei. L’abbiamo presa allo stesso modo. Questa cosa è stata così forte per me e mia moglie che abbiamo deciso di separarci. Non abbiamo deciso per quanto tempo ma abbiamo sentito subito entrambi l’esigenza di farlo. Stando insieme non facevamo che ricordare, soffrire e piangere la mancanza di Denise all’infinito. Questo ci stava togliendo la forza di vivere. Ci amiamo ancora ma ci vediamo poco, al massimo due volte l’anno e per pochi giorni. Lei si chiama Lyudmila, è russa, l’ho conosciuta a Valdivostok durante un viaggio, avevamo tutti e due solo vent’anni. Fu un colpo di fulmine, ci sposammo subito e appena due anni dopo lei era incinta di Denise. Fa la corrispondente all’estero per una TV nazionale. Le piace l’avventura e viaggiare. Sotto questo aspetto siamo uguali. Denise in questo senso ci aveva reso più stanziali che nomadi. I momenti più belli della nostra vita li abbiamo vissuti quando siamo stati uniti grazie a lei, al fatto che dovevamo essere i suoi genitori ed aiutarla a crescere, tutti e tre insieme. Anche per Lyudmila è così. Ed è per questo che ora facciamo fatica a stare insieme per più di una settimana. È come se dopo un po’ ci mancasse l’aria.». «Perché non fate un altro figlio?». «Ci abbiamo pensato. Siamo anche arrivati al punto di farlo ma poi ci siamo fermati. Sai…non so come spiegartelo… Ci sentiamo ancora addosso una specie di cappa, una sorta di nuvola minacciosa che io spero che passi il più presto possibile, prima di non essere più in grado di farlo e di avere abbastanza energie per tirarlo su come si deve, un altro figlio.». Noemi, ancora fissando il viso di Denise che le assomiglia davvero, a parte quella profonda luminosità nello sguardo che ha sempre odiato, forse anche un po’ invidiato e che ha sempre sentito come “giudicante” nelle altre persone in cui l’ha notata durante la sua vita, comincia a pensare a suo padre e a sua madre. Vede sua madre che a quell’ora sarà, come al solito, sdraiata sul divano a guardare la TV dopo una giornata di lavoro come commessa al supermercato e dopo i lavori dentro casa: ogni tanto si addormenta, poi si risveglia. Tante volte, quando ancora viveva a casa con lei, si era chiesta se per caso sua mamma nei momenti in cui si assopiva davanti allo schermo, non stesse in realtà sognando di guardare la televisione e quindi non accorgersi nemmeno di addormentarsi, tanto la sua espressione era sempre uguale: con gli occhi chiusi, aperti o semiaperti. Ora immagina suo padre, sopra una nave, che in una breve pausa fuma una sigaretta guardando con odio il mare, galera della sua vita. Con il viso sporco di grasso sputarci dentro e ritornare al lavoro, con un calendario hard dimenticato e di chissà quanti anni vecchio, appeso da qualche parte, unico punto di colore nel bianco e nero della sala macchine. Rivede Silvano, con il cellulare all’orecchio e vede la madre di lui che le sussurra “Zooculah!”, mentre protegge il figlio complice nascosto dietro se. Scoppia in un singhiozzo. Davide le sfila delicatamente l’agenda dalle mani: «Noemi. Guardami. Cos’hai?». Lei lo guarda per un attimo con l’espressione ferita ma orgogliosa, prende la bottiglia di grappa e si serve da sola. Poi, dopo aver buttato giù un altro bicchierino, si sbottona cominciando a descrivere il suo vissuto, la sua situazione famigliare e la sua situazione attuale. Lui fa fatica a capirla talmente è caotica e logorroica. Sta ritirando la bottiglia di grappa ma lei, continuando a sfogarsi, gliela strappa dalle mani e beve una gran sorsata direttamente dalla bottiglia. Lui gliela toglie e la mette via. Noemi ora è sbronza. Alterna momenti di ebrezza a singhiozzi di pianto convulso. Le viene da vomitare. Fa in tempo a sporgersi dalla barca con il mondo che le centrifuga intorno alla testa e a rigettare l’alcool che ha bevuto nell’acqua scura del porticciolo. Dopo che ha finito, lui la rimette a sedere, le fa una carezza in testa dicendole che va in cucina a preparare un caffè. Dalla piazzetta del paese, a qualche centinaio di metri, arrivano le note del gruppo di liscio che intrattiene la serata di festa e Noemi, sorseggiando il suo caffè lo guarda: «Sei sicuro che non ti piaccio neanche un po’? Io mi sento così attratta da te, credo sia una questione di pelle.». Lui le sorride, appoggia la tazza di caffè sul tavolino si appoggia allo schienale della sedia e incrocia le mani sull’addome: «Noemi. Hai parlato di pelle. Vedi la mia pelle? È una pelle di quasi cinquanta anni. Potrei anche capire che una ragazza ventenne sia attratta da qualcuno che potrebbe esserle padre, anche se ti dico dal cuore che proprio non lo capisco. Ritornando alla pelle, vedi, io mi sento attratto da una pelle più simile alla mia, mi sento più a mio agio, deve essere una pelle almeno similmente consumata quanto la mia, sono affascinato dalle pelli consumate e provate dalla vita, magari anche con qualche cicatrice, come la mia Lyudmila, che con il lavoro che fa, si è trovata spesso in situazioni difficili. Non biasimo le scelte degli altri ma io sono fatto così. Sono una quercia adulta e voglio vicino una quercia che abbia più o meno la mia stessa età e più o meno gli stessi tagli e le stesse sbucciature inferitele dalla vita. È questo quello che mi attrae in una donna: la sua esperienza di vita. Tu sei giovane, sei libera di fare ciò che vuoi. Hai tutta la vita davanti ma se ti va posso dirti come la penso, visto che mi hai vomitato tutto il tuo passato in un quarto d’ora prima di rigettare la mia ottima grappa in mare.». «Si! Certo che mi interessa sapere cosa pensi di me. Sembri una persona molto sicura e sento che sei anche stato un padre eccezionale.». Gli occhi di Davide si lucidano di nuovo, prende l’agenda di Denise dal tavolo, la chiude e vi poggia le mani sopra: «Ascolta, sei una ragazza sveglia e questo si vede ma le tue capacità e le tue potenzialità devi imparare a concentrarle verso altri traguardi ed altre direzioni. Se fossi in te ricomincerei a studiare, non è mai tardi, o comunque proverei a dedicarmi anima e cuore ad una attività nella quale sento che ho le capacità per crescere e crearmi una base solida sotto i piedi, senza l’aiuto di nessuno e senza gli apprezzamenti di nessuno.». Noemi durante la pausa di Davide intento a riaccendere la pipa ripensa al piacere che prova nel piluccare i punti neri e a come era brava, da piccola, a creare i vestitini e a truccare le bambole. Poi ripensa a Silvano: «E cosa pensi di Silvano? Ti ho parlato di lui.». «Non lo conosco e non mi sento di dare un giudizio su una persona senza averla prima conosciuta e frequentata ed anche con questi presupposti è sempre difficile. Noi esseri umani siamo complessi ed anche imprevedibili. Posso dirti altre cose. Stai lontana da chi ti da l’impressione di essere interessato solo al tuo corpo ed anche da quelli che parlano troppo, anche se possono sembrare affascinanti per questo, valuta sempre in modo attento e distaccato, vai al succo. Quando conosci un uomo concentra molto l’attenzione sulle sue mani. Un uomo che sa fare lavori in casa, dal cambiare un rubinetto a saper usare un giravite o una pinza ha le mani diverse da uno che non lo sa o non lo vuole fare. Ha mani più grandi, più forti ed anche qualche graffietto e qualche callo se guardi bene. Quello, in una buona percentuale, è un uomo che ama occuparsi del nido, più responsabile e quindi più affidabile. È come al supermercato, non prendere la frutta che ha una pelle perfetta, vuol dire che è stata protetta dai veleni. Se scegli quella meno bella, con qualche segno e magari con qualche insetto che ci gira intorno, sarai sicura che è più sana. Ritornando al nido: è importante anche che lui non ne sia troppo geloso, anche questo è un segnale negativo, la precisione e la manualità non devono mai essere ossessive, altrimenti vuol dire che nascondono problemi. Chi è troppo pignolo, spesso, è una persona che ha un grosso bisogno di aiuto e richiede tante energie da chi gli vive accanto.». Noemi scoppia a ridere: «Lo sai che anche mia mamma mi diceva sempre questo, sulla frutta e la verdura, quando mi mandava a fare la spesa? Non mi ha mai parlato dei ragazzi in questo modo però!». Ciò dicendo immagina le mani di Silvano: senza un graffio, non l’ha mai visto fare nessun lavoro in casa, anzi, ne ha fatti solo lei da quando sono insieme. Ora che immagina le sue mani riesce solo a vedere le dita grassocce volare sulla tastiera del cellulare. Poi ripensa alla manualità e alla pignoleria e vede il ritratto perfetto di suo padre. Non aveva mai pensato però che lui potesse aver bisogno di aiuto. Lo immagina di nuovo quel giorno in spiaggia, quando si era persa. «Mi piacerebbe aprire un centro estetico.», dice guardandosi le mani. «Fallo allora! Non pensare, fallo e basta! Noemi, la mia storia è molto semplice e, se non altro, posso garantirti che la mia vita, adesso, non dipende dal giudizio e dalla valutazione di nessuno. Vivo della mia esperienza. Sono stato fortunato, è vero. Ho avuto dei genitori fantastici che mi hanno aiutato al punto giusto e mi hanno saputo indicare la strada ma il resto l’ho fatto io. Questa barca l’ho costruita praticamente da solo con le mie mani e ne sono fiero. Penso questo: l’aiuto e il sostegno degli altri è una cosa bellissima, è una di quelle cose che ci permettono di andare avanti e di vivere una vita felice ma non bisogna esserne dipendenti, altrimenti si perdono l’orgoglio, lo stile e la dignità, che, in un certo senso, secondo me, rappresentano la maggiore parte del nostro ossigeno.». Dallo yacht di Renzo arrivano un applauso e delle risate. «Credo che adesso sia meglio che tu vada. Noemi, se vuoi vedermi…. quando vuoi. Ma lascia stare il windsurf, ascoltami.» le sorride Davide allungando una mano per scuoterle affettuosamente una spalla. «Si. D’accordo.». Lui sta per alzarsi e accompagnarla alla scaletta ma lei, che è già in i piedi, gli poggia una mano sulla spalla per trattenerlo dicendogli: «Orgoglio, stile e dignità! Me lo hai insegnato tu! Vado da sola.». Ciò detto si abbassa, gli da un bacio sulla guancia e si avvia a piedi nudi, con in mano le scarpe mutilate dei tacchi verso poppa. Appena scesa la scaletta si sente un botto e un attimo dopo il porticciolo è tutto illuminato di giallo per un istante. Cammina lungo il molo colorato dai fuochi d’artificio. Supera lo yacht di Renzo, dove non ha nessuna intenzione di salire e prosegue. Si sente confusa, fuori luogo. Come una volpe scuoiata ma ancora viva che vede di nascosto la sua pelliccia indossata da una signora andare via e sparire sulla scala mobile di un ipermercato. Sente ancora l’effetto dell’alcool a stomaco vuoto e anche se leggermente, barcolla con in testa tutti quegli strani pensieri. Cammina ancora a piedi nudi, con le scarpe in mano quando in un lampo verde, sotto i fuochi, vede seduto li vicino, su una panchina, il signor baffoni. Anche lui la vede e le fa un cenno con la mano. Come imbambolata, lo raggiunge saltellando e gli si siede accanto. «Signori’! E che ci fate da sola qui a quest’ora! Dov’è il vostro ragazzo?». Lei lo guarda sorridendo e rimane muta. I fuochi ora aumentano, i colori si susseguono veloci. Noemi e baffoni, l’una accanto all’altro, guardano lo spettacolo pirotecnico. Lei ha l’impressione di sentirlo singhiozzare: «Ma che fai! Piangi?». È così. Gerardo, il baffoni bianchi, sta piangendo. «Signori’… Io ho visto la guerra. Ero piccolo. Questi botti mi fanno ricordare quando stavamo sotto ai rifugi, tutti stretti di paura. Ci manca solo la sirena. Ogni volta che vedo i fuochi mi sembra come se mi vogliono dire: “Gerà, è questa la guerra! Quella che ti ricordi tu è stata solo un sogno brutto. Questa è la vera guerra!». Noemi guarda il suo vecchio viso rugoso, i baffi cambiare rapidi colore e una piccola lacrima dall’occhio, scendere e nascondervisi dentro veloce. Gli appoggia la testa sulla spalla e Gerardo, all’istante sorpreso, si lascia distendere in un largo sorriso, la stringe teneramente a se con un braccio intorno alle spalle finendo di guardare quegli ultimi fuochi d’artificio.

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Alessandro Cantaro

Alessandro Cantaro, grafico web-designer freelance. Mi piace scrivere e in questo spazio raccolgo e condivido alcune cose. 501k sono gli ultimi quattro caratteri del mio codice fiscale, nient'altro. :-)

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